sabato 25 settembre 2010

Vorrei piangere...

Ora che neve ammanta la tua terra
e gli alberi piangono
l'agonia lenta
e poi la fine dell'estate
tua madre forse
prepara la legna
per aspettare insieme
il tempo buono.

Non so chi eri.

Avevi negli occhi
sapori di terre lontane
ed una parlata straniera?

Eri venuto in terra di conquista
marciando col passo sicuro
di nordici invincibili dei
segnati dal destino
o amante della libertà
a scrollarci di dosso
il giogo del servaggio?

Solo una croce di te resta.

Vorrei piangere
sulla tua giovane morte
o appendere corone di parole
alla tua memoria
come fanno i poeti
per prolungare
la tua breve eternità.

Ma non conosco il tuo nome.



Da " Primi voli " di Calogero Restivo

domenica 19 settembre 2010

Rinascere e rinnovarsi

Come puoi pensare
che voglia chiudermi
in questo spazio
senza tempo
senza albe o tramonti
senza pensieri e desideri
senza notti scure
da possedere?

Come puoi pensare
che sia "vivere"
questa noia eterna
di rumori di treni
in corsa nella notte
di attese
di passi di muli sull'acciottolato
e silenzio?

Come puoi pensare
che non sia
un rinascere e rinnovarsi
per i raggi del sole
che sulle cime dei monti
s'urtano e si confondono prima
con i rimasugli di notte
per inondare poi
la vallata tuta di colori?


Da "La lanterna sul mondo" di Calogero Restivo

giovedì 16 settembre 2010

Arano

Arano.Pregano
interminabili preghiere
cantano motivi sempre uguali.

Arano i contadini
terre bianche
come le ossa dei morti
scoperte dallo scirocco.

Arano solchi
che si richiuderanno
alle prime piogge
soffocando i semi
in un abbraccio di morte.

Arano speranze
incallite nella sordità
e pregano con fede
di volta in volta rinnovata.

Si fabbricano nuovi idoli
da bestemmiare
ad ogni stagione che matura
la caduta delle speranze.

Arano vene alla terra
che quasi inutili sanno
e tra i solchi scavati
seminano illusioni.


Da " SOgni e risvegli" di Calogero Restivo

domenica 12 settembre 2010

Il fascino dei ricordi

In ricordo di Leonardo Sciascia


Festeggiavo i miei nove anni e finivo di frequentare la terza elementare.
Sono tanti , nove anni, per un ragazzo che è troppo alto per la sua età, non
è ripetente ma in ritardo con gli obblighi scolastici.
L'ultimo banco, per gli spilungoni come me, è vissuto come una punizione .
Lontana la cattedra ,vista dall'ultimo banco, lontana la lavagna.
Il maestro, nella sua passeggiata tra i banchi, si ferma sempre tra il terzo e quarto posto della fila, dà un'occhiata circolare, un colpo di bacchetta (leggero) sul banco per tramettere autorità e poi torna in cattedra.
Negli ultimi banchi, si sonnecchia,si possono leggere le avventure di Tom Mix, il giornaletto nascosto in mezzo al libro, ma si può essere scoperti se questo
accade durante la lettura in classe e ti si chiede di continuare a leggere dal punto in cui si è fermato il compagno.
In questo caso il maestro ti chiama presso di se per farti la ramanzina e poi ti mette in castigo dietro la lavagna.
Così andavano le cose ai miei tempi.
Tutte queste cose mi si presentarono alla mente una sera di fine giugno che avevo finito l'ennesimo ripasso delle ultime avventure di Tex Willer e non avevo altro da leggere.
Quella sera sono andato ad incontrare mio padre, che rientrava dal lavoro, al ponte Canale, appena fuori dal paese.
Si preoccupò, vedendomi, temendo una brutta notizia.
Gli dissi semplicemente e velocemente: “L'anno prossimo voglio andare in quinta.”
A sera sentivo che ne parlava con mia madre.
Passarono alcuni giorni, io facendo lo sciopero del silenzio e quasi della
fame che, essendo mingherlino, per mia madre era una cosa grave.
La mattina della domenica seguente mio padre mi chiamò “Andiamo dalla maestra Taibi” mi disse.
Era, la maestra, una vecchia zitella senza età di cui tutti i ragazzi nutrivano
un certo timore reverenziale.
Nelle giornate di vento forte, noi ragazzi , vedendola passare , aspettavamo con un certo cinismo che la parrucca le volasse via , ma lei ,conscia del pericolo, con una mano teneva la borsa e l'ombrello e con l'altra la parrucca.
Mio padre le espose il caso ed era visibilmente impacciato e nervoso.
Era un lavoratore , rigoroso nel rispetto dell'autorità che chiamava”legge”;
aveva poche certezze ma certe: dopo la notte viene il giorno e dopo il quattro
viene il cinque e così di seguito.
Non capiva la mia richiesta ma l'assecondava.




La maestra ci pensò su qualche minuto ed alla fine sentenziò: “Si può fare”.
Stabilirono che avrei studiato durante l'estate e lei stessa mi avrebbe
aiutato a preparare gli esami di settembre.
Così iniziò un' estate fatta di andata e ritorno dal Serrone, dove la maestra aveva una casa in campagna, e la sera a studiare e fare i compiti
Finalmente il giorno degli esami: tre maestri dietro il tavolo a fare domande ed io di fronte, come un accusato, a rispondere.
Uno di quei maestri si chiamava Leonardo Sciascia.
Ero preoccupato e spaventato ma l'interrogazione è andata bene e sono stato promosso.
Dopo qualche giorno iniziava il nuovo anno scolastico .
Il plesso scolastico detto “La Palma” consta di due edifici perfettamente
uguali; in quello di sinistra vi sono(vi erano) le aule maschili ed in quello di destra quelle femminili, tranne due : una , quella d'angolo, era quella del maestro(allora si diceva professore) Sciascia , l'altra di un maestro di cui non ricordo il cognome.
I miei compagni non capivano perchè andavo verso l'edificio di destra quando l'aula della quarta era a sinistra ; mi chiamavano, mi prendevano un po' in giro ma andai a destra,nell'aula del maestro Sciascia che faceva la quinta.
Per tutto il periodo della scuola media non vi furono molte occasioni di lunghe conversazioni ,un saluto se ci incontravamo.
Una sera, ero ospite presso un amico a Ribera, mi dissero che il professore Sciascia avrebbe tenuto una conferenza su Pirandello
Mi presentai circa un'ora prima dell'inizio della conferenza.
Fummo reciprocamente contenti dell'incontro, mi fece
tante domande e alla fine della conferenza l'ultimo autobus per Agrigento era
partito.
Il prossimo ,il giorno dopo.
Cercammo una macchina a noleggio ,io fui ben contento
di accompagnarlo e durante il viaggio parlammo di tante cose, dei miei interessi,di come andavo a scuola ecc.
Ci incontrammo di nuovo solo alla vigilia degli esami di abilitazione
magistrale, i miei esami di Stato
Gli manifestai i miei comuni, credo, timori sulla “riuscita”
degli esami e ci lasciammo perchè , mi disse, aveva un giro di conferenze.
Una sera,ed era all'incirca la metà di luglio,stavo passeggiando con degli amici,( Lui stava conversando al circolo dei “nobili”) mi fece cenno di sedermi
accanto a se e mi disse:
“ Accomodati,collega”






Ero felice, lo ringraziai caldamente perchè significava che avevo superato gli esami e me lo stava comunicando
Dopo di allora ci siamo visti spesso ma erano solo incontri occasionali.
Parlavamo di poesia, mi dava consigli, mi suggeriva delle letture, mi prestava dei libri che riteneva adatti.
Parlavamo anche di ( gialli ) e di Pasolini,mi consigliava di leggere le sue opere,ne esaltava lo stile e la sobrietà.
Gli diedi da leggere delle mie poesie che allora mi sembravano
dei capolavori ed erano delle semplici esercitazioni.
Alcune in seguito ebbero la sua approvazione, mi disse che potevano essere
pubblicate nella rivista che allora dirigeva, ma non se ne fece niente perchè
sono partito per fare il militare e ci perdemmo di vista.
Nel frattempo era diventata di dominio pubblico la sua grandezza,era uscito” Il Giorno della Civetta” ed io dovevo occuparmi di risolvere i problemi della vita di tutti i giorni e le soluzioni mi portavano ben lontano dalla poesia.
Da allora, più nessuno incontro., mi limitavo a leggere i libri che scriveva, le interviste che rilasciava, le notizie che riportavano i giornali.
Era un modo di ritrovarsi.
Era un dialogo fra amici in cui le parole non servono.

Calogero Restivo

lunedì 6 settembre 2010

Pulizia/Manutenzione in corso

Pulizia/Manutenzione in corso

Non ferite l'estate

Non ferite l'estate
con ansiti di bombe
e latrati di mitraglia
che richiamano alla memoria
sopite paure di guerra
e di voli di falchi sui pendii
del monte Sant'Anna
a caccia di muli agli abbeveratoi
e fanciulli che giocano sull'aia.

Non ferite l'estate
con fuochi di stoppie
chè la pietà rinnovano
di spighe pronte alla falce
mietute da lampi
che squrciavano la notte.

Non ferite l'estate
con urli di sirene
che bambino ricordo
correvano impazzite
incontro al fuoco
di bombe cadute nella notte
che consumata la sua furia
languiva in scintille
sui fantasmi di case.

Da "Sogni e Risvwegli" di Calogero Restivo